Maurizio Lupi

 Il mio discorso al Parlamento
Marzo 20, 2015

Il mio discorso al Parlamento

Il mio discorso al Parlamento in cui rispondo alle legittime domande e spiego le motivazioni delle mie dimissioni.

Signora presidente, onorevoli colleghi, signori ministri,

 

Sono qui per un atto di estremo riguardo verso il Parlamento di cui sono membro da 14 anni, dal 2001. Essendo inoltre stato per due volte vicepresidente di quest’Aula, so che questo è il luogo in cui devo compiere il gesto che mi accingo a fare.

 

Il Parlamento è il luogo del consenso che rappresenta la sovranità del popolo. Il Parlamento è il luogo del potere, perché da qui emana la fiducia per il governo e per il mio ministero. Il Parlamento è il luogo della responsabilità, il luogo quindi dove rendere conto del potere affidatomi e di come l’ho esercitato.

 

Sono quindi pronto a rispondere di ciò che ho fatto in questi ventidue mesi, da quando ho giurato per la prima volta davanti al presidente della Repubblica, (ringraziamento a Letta) e mi ritengo anche obbligato a non far cancellare in tre giorni tutto ciò che in questi 22 mesi è stato fatto con il lavoro mio e dei miei collaboratori, tutti i funzionari del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che con me hanno lavorato per il Paese, dai più alti dirigenti ai marinai della Guardia Costiera che sono stati  impegnati in una prolungata, rischiosa e meritoria azione di salvataggio in mare dei migranti.

Signora Presidente, onorevoli colleghi, io sono qui per rivendicare il ruolo decisivo della politica nella guida del nostro Paese, non sono qui a difendermi da accuse che non mi sono state rivolte. Non invoco garantismo nei miei confronti perché non ho ricevuto alcun avviso di garanzia. 

 

Ciò che mi chiama qui oggi davanti a voi non è una responsabilità giudiziaria, ma una responsabilità politica per le scelte “politiche” che ho fatto alla guida del ministero che mi è stato affidato.

 

Le cronache degli ultimi tre giorni parlano di quasi due anni di indagine, di migliaia di pagine con i contenuti delle intercettazioni telefoniche, e della decisione di non indagarmi, perché, a fronte di tanto materiale investigativo, i pubblici ministeri – non io che ben sapevo di non aver commesso nulla di illecito – non hanno ravvisato nulla nella mia condotta che potesse essere perseguito.

 

Sento, quindi, il dovere di rispondere della responsabilità politica che mi sono assunto con le mie scelte, ma anche il dovere di raccontare, di spiegare e di ricordare ciò che in questi 22 mesi è stato fatto. E, come è giusto che sia, di fronte ai primi esiti delle indagini in corso, delle doverose riflessioni e dei necessari cambiamenti da fare.

 

Parlerò allora di questo. Delle ragioni per cui ho confermato Ercole Incalza alla guida della struttura tecnica di missione fino al 31 dicembre 2014.

Delle ragioni per cui ritengo immotivate e strumentali le accuse a livello personale che mi sono state mosse.

Partiamo allora dalle grandi opere. Come ministro delle Infrastrutture io sono artefice della loro realizzazione, ma anche custode del valore che ricoprono per il Paese, per la sua crescita, per la sua competitività internazionale.

 

Ho assistito in questi 22 mesi a un prolungato scontro tra il giudizio e il pregiudizio, diventato incandescente nelle ultime 72 ore, io vorrei portare qui davanti a voi oggi la testimonianza testarda dei fatti, “Questo è il fatto – diceva Bulgakov ne Il Maestro e Margherita –  E il fatto è la cosa più testarda del mondo”. Vorrei oggi presentarvi elementi fattuali per permettervi di esprimere un giudizio che possa sconfiggere anche il più ostinato dei pregiudizi. E mi scuserò se alcuni fatti contraddiranno le opinioni.

 

Il primo obiettivo, e il primo risultato della politica delle infrastrutture che ho perseguito è stato lo sblocco delle grandi opere che i nostri cittadini chiedono e che finora erano realizzate solo a segmenti. Abbiamo elaborato un’intelligente e selettiva applicazione della Legge Obiettivo, che non è una legge criminogena come ho sentito dire, selezione doverosa e necessaria che ha permesso di inserirle in un disegno strategico della infrastrutturazione del Paese che colleghi l’Italia nelle due direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest, ha prodotto la selezione delle reti di interesse europeo (TEN-T) e ha sviluppato la strategia del collegamento dei nodi di interconnessione tra le reti (stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali). Una delle anomalie che abbiamo riscontrato è che i tre aeroporti internazionali del nostro Paese, Fiumicino, Malpensa e Venezia non sono collegati con l’alta velocità che pur è stata realizzata.

 

Legge Obiettivo nessun problema, allora? No, non sono così ingenuo. Nella seduta del 21 maggio 2013 presso l’VIII Commissione della Camera dicevo testualmente “Il difetto della vecchia legge obiettivo era mettere in programma 750 opere, mentre si potrebbero individuare, […] nel raccordo con le regioni, le opere principali.” C’è bisogno di una nuova legge obiettivo che possa individuare i nodi strategici infrastrutturali del Paese, le grandi aree metropolitane, immettere nuove risorse, e accelerare i tempi di realizzazione delle opere, garantire la massima trasparenza, ripensare alla figura del general contractor. In parte questo è già stato fatto e si vedrà ancora di più con grande evidenza e in maniera organica nel prossimo Allegato Infrastrutture al Documento di economia e finanza, già determinato nelle sue linee principali, dove la selezione delle opere infrastrutturali prioritarie per il Paese sarà drastica.

 

La Struttura tecnica di missione è stata, e nelle mie intenzioni deve continuare ad essere, lo strumento tecnico-operativo per la realizzazione di questa visione.

 

E’ grazie alla Legge Obiettivo e la Struttura tecnica di missione che i nostri cittadini possono andare in 45 minuti da Milano a Torino, in 3 ore da Milano a Roma, in 1 ora e 10 minuti da Roma a Napoli e da lì a Battipaglia. L’Alta Velocità ferroviaria ha cambiato il modo di viaggiare degli italiani come, e forse più dell’Autostrada del Sole. Sono stati  soldi   ben spesi. Ed è un disegno strategico da completare: da Torino fino a Trieste, da Battipaglia fino a Reggio Calabria, da Napoli a Bari, da Messina a Catania a Palermo e con la velocizzazione della linea adriatica fino a Lecce.

 

La mia difesa della Struttura tecnica di missione non era la difesa acritica dello status quo, o del ruolo di un alto dirigente dello stato che pur ho apprezzato, ma dello strumento, assolutamente migliorabile, con il quale questo disegno può continuare a essere perseguito all’interno del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

I motivi che mi hanno indotto a non rimuovere Ercole Incalza dall’incarico di Capo della Struttura tecnica di missione, posto che occupava a seguito di procedura selettiva pubblica e con scadenza il 31 dicembre 2015, risiedono nel fatto che, a seguito di un’approfondita istruttoria della sua posizione, ho potuto verificare come Incalza, nei vari procedimenti penali che lo hanno interessato, non ha subito alcuna decisione di condanna, né, per i casi in cui questi si sono conclusi per prescrizione del reato, alcun procedimento disciplinare sotto la responsabilità dei ministri che mi avevano preceduto. Ritengo questo un elemento oggettivo necessario per una persona che – come me – crede nello stato di diritto e nella presunzione di innocenza. So che non tutti in quest’Aula condividono questi principi di civiltà giuridica, ma preferisco rimanere della mia opinione.

Ercole Incalza ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico con nota del 17 dicembre 2014 e – contrariamente a quanto riportato anche in due interrogazioni parlamentari – a lui non è stato assegnato alcun incarico di consulenza presso il Ministero.

 

Ricordo inoltre all’Aula che gli emendamenti discussi nel dibattito sulla Legge di Stabilità non riguardavano la singola persona ma la continuità dell’azione amministrativa della struttura tecnica di missione per impedirne l’automatica decadenza. 

 

C’è qualcosa da cambiare? Certo. Era mio preciso intendimento rivisitare la disciplina normativa vigente in materia di appalti e concessioni, in sinergia con l’ANAC e di affrontare alcune tematiche “sensibili” come l’approvazione delle varianti (sulla cui anomalia mi sono soffermato più volte nelle mie audizioni presso le Commissioni parlamentari) e la nomina del direttore dei lavori in caso di affidamento a General Contractor, tant’è che, e questi sono fatti,  il 29 agosto 2014 il Consiglio dei Ministri ha approvato la mia proposta di DDL delega volto al riordino della materia (c.d. riforma del codice degli appalti).

 

Oggi, 20 marzo 2015, il disegno di legge delega è ancora in Commissione al Senato dove dopo 7 mesi si sono appena concluse le audizioni.

 

Obiettivo della mia azione era anche il rilancio del settore dei lavori pubblici, non solo delle grandi opere, ma anche delle medie e piccole, con interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti (ponti, viadotti, gallerie, strade e ferrovie) e lo sblocco dei cantieri nei piccoli comuni, le risorse destinate alle ristrutturazioni scolastiche, e gli interventi di natura fiscale e di agevolazione dell’accesso al credito nel settore dell’edilizia. I dati dell’ANCE (+3,6% nelle compravendite di immobili nel 2014 rispetto al 2013 e + 7,1 solo nell’ultimo trimestre) dimostrano che questa politica ha funzionato. (inserire qui i dati sulla crescita degli appalti)

 

Con il Decreto del Fare, il decreto Sblocca Italia, e due leggi di Stabilità, tra grandi medie e piccole opere e interventi di manutenzione in questi due anni abbiamo mobilitato risorse  per 14,2 miliardi di euro.

900 milioni di euro sono stati destinati alla manutenzione straordinaria delle nostre reti sono stati avviati lavori infrastrutturali in centinaia di piccoli comuni grazie al programma 6000 campanili, è stato realizzato il piano nazionale degli aeroporti, è pronto il piano nazionale della portualità e della logistica, che consegno al mio successore, abbiamo realizzato un’azione di trasparenza che ha visto pubblicati tutti i dati sui collaudi delle grandi opere, l’elenco delle opere incompiute, abbiamo consegnato al Parlamento (sono pubblicati sul sito del Senato) tutti gli atti di fonte ministeriale sulle concessioni autostradali e sulle convenzioni tariffarie. E’ la prima volta. Come è la prima volta che al Ministero delle Infrastrutture avviene, come voluto dal governo e dal ministro Madia, la rotazione totale dei provveditori dei lavori pubblici.

 

Una politica infrastrutturale eterodiretta e incentrata solo sulle grandi opere, come ho letto?

La ragione rappresentata dai fatti è più forte delle opinioni. Basta una ricognizione degli stanziamenti e delle norme procedurali varate nei 22 mesi in cui ho ricoperto la carica di Ministro delle infrastrutture, per dare facilmente conto della netta prevalenza di interventi di piccole e medie dimensioni, diffusi sul territorio, rispetto alle disposizioni – e anche degli stanziamenti – che hanno riguardato le opere “legge obiettivo”.

 

Basti un esempio: abbiamo sottratto risorse finanziarie alle grandi infrastrutture con il fondo revoche e le abbiamo destinate all’affronto dell’emergenza abitativa. Abbiamo rifinanziato dopo anni il fondo affitti, costituito il fondo per la morosità incolpevole e destinato 500 milioni di euro al recupero degli alloggi popolari, destinando alle politiche per la casa la cifra complessiva di 2,7 miliardi di euro.

 

Ho voluto lasciare per ultimo il tema che considero più importante e che ho chiesto di inserire tra le priorità del Piano Nazionale di Riforma 2015: la sollecita approvazione del Disegno di Legge Delega di recepimento Direttive Appalti e Concessioni 2014/23/UE; 2014/24/UE; 2014/25/UE. Si tratta di un’occasione davvero unica per rafforzare la qualificazione degli operatori e semplificare il quadro normativo.

 

In questo sommario bilancio concedetemi una parentesi per rivendicare la felice conclusione, non di una scelta programmatica, ma di un’azione che è riuscita a risolvere l’emergenza occupazionale di 13.000 persone e il rilancio di un’azienda strategica per il nostro paese e per la nostra economia, sto parlando di Alitalia, che dal baratro della possibile consegna dei libri in tribunale è passata oggi a competere sul mercato del settore aereo internazionale.

E veniamo agli addebiti per una mia presunta condotta personale inopportuna.

Credo che sia evidente a tutti quanto sia inverosimile che un amico di famiglia da 40 anni abbia potuto solo pensare di accreditarsi con me regalandomi un vestito.

Quanto a mio figlio. Ho detto e ribadisco che non ho mai fatto pressioni con chicchessia per procurare un lavoro a mio figlio.

 

L’intercettazione strumentalizzata a questo fine, in cui chiedo all’ingegnere Incalza di vedere mio figlio, venuto a trovarmi a Roma, per dargli “consulenze e suggerimenti” documenta invece che ho proposto a mio figlio, ingegnere appena laureato, come farebbe qualsiasi padre, la possibilità di incontrare una persona di grande esperienza che potesse consigliarlo sulle scelte da fare. La decisione di Incalza di telefonare a Stefano Perotti non può coinvolgere mie responsabilità. Conosco la famiglia Perotti dal 2001, è abitudine per noi passare insieme le festività di Sant’Ambrogio prima del Natale ogni anno, non solo nei due week end citati dall’ordinanza del Gip di Firenze. Conoscono mio figlio sin da piccolo. Che bisogno avrei avuto di chiedere a Incalza di intercedere per lui presso i Perotti? Se fosse stata mia intenzione, e non lo era, avrei molto più facilmente potuto farlo io. E non l’ho fatto.

 

Mio figlio lavora in America, dove è approdato dopo che la società di ingegneria e architettura Som, al termine di uno stage di sei mesi, gli ha offerto l’assunzione. Mio figlio era stato mandato alla Som di San Francisco dal Politecnico di Milano, non da altri, qui ha lavorato alla tesi per laurearsi con 110 e lode nel dicembre 2013. Nel gennaio 2014 la Som gli ha fatto un’offerta di lavoro, lui ha chiesto il permesso di lavoro per gli Stati Uniti, che è arrivato dopo un anno. Scaduta la prima lettera di employment, all’arrivo del permesso la Som gliene ha inviata un’altra. Il 2 marzo mio figlio è partito per l’America e da lunedì prossimo sarà un dipendente della sede Som di New York. Nell’anno passato in Italia ha accettato l’offerta di una collaborazione a partiva Iva (1.300 euro netti al mese) delle società Mor di Genova, legata a Stefano Perotti. Di fronte alle polemiche italiane, dopo due giorni di telefonate e richieste di informazioni da parte di media italiani, la società americana ha emesso un comunicato stampa in cui ricostruisce la vicenda e spiega perché ha assunto mio figlio: perché lo considerano bravo.

 

Quanto al regalo per la sua laurea, un orologio del valore di circa 3500 euro, l’avessero regalato a me l’avrei rifiutato, nonostante la vecchia amicizia con i Perotti. I Perotti l’hanno regalato a mio figlio, che conoscono da ben prima della mia nomina a ministro, in un’occasione importante come la laurea. Io non gli ho chiesto di restituirlo. Se è questo il mio errore, lo ammetto.

CONCLUSIONI

Signora Presidente, onorevoli colleghi, arriviamo alla mia decisione assunta in piena coscienza e in base ai valori che hanno determinato e guidato il mio impegno politico e all’idea di servizio alle istituzioni che ne consegue.

Ho avuto l’onore di ricoprire un incarico prestigioso, di servire con dignità, la nostra Costituzione dice con disciplina e onore, essendo pronto in ogni momento a rinunciarvi. Ho sempre pensato che la politica non sia un mestiere o una professione ma passione e servizio al bene comune. 

 

A sole 72 ore dei fatti c’è stata la presa d’atto da parte mia della necessità della scelta che sto compiendo e la mia comunicazione al Presidente del Consiglio e al Presidente della Repubblica di dimettermi, a 72 ore dai fatti, non a 72 giorni.

 

La mia prima reazione, suggerita da molti che ringrazio, è stata: “non ha fatto nulla, perché devi lasciare proprio in un momento in cui il tuo lavoro sta iniziando a dare i suoi frutti di utilità per la gente, le imprese, i giovani che vengono assunti?”

 

Ma, con il passare delle ore, la scelta che dovevo fare non poteva che essere paragonata con la ragione per cui ho deciso di fare politica. Siamo uomini politici, ma uomini è il sostantivo, la sostanza, politico è l’aggettivo, e l’uomo agisce sempre per uno scopo e per la politica lo scopo è servire il bene comune. Se questo passo indietro può essere un modo per prendere una nuova rincorsa, per ridare valore alle istituzioni che ho sempre servito, per rafforzare l’azione del nostro governo, per rilanciare il progetto del nostro partito, allora le dimissioni hanno un senso.

 

Diventando ministro non mi sono dimesso da padre e da marito, né intendo farlo oggi. Per me gli affetti vengono prima di una poltrona, anche se prestigiosa. A voi giovani deputati che urlando fuori dalla realtà e agitando demagogie a brandelli mi avete insultato in questi giorni auguro dal profondo del cuore di non trovarvi mai dentro a bolle mediatiche difficili da scoppiare. Vi auguro di non aver mai qualcuno che con potenza di fuoco entra nella vostra vita di affetti e di intimità, vi auguro di non avere mai nessuno che tiri in ballo la vostra famiglia. Ho molti difetti e molti limiti, ma dopo tanti anni ancora non perdo il sorriso e il buon umore. Ogni esperienza è in grado di arricchirmi e vedo il lato positivo in questa difficile vicenda.

 

Tante persone che mi hanno dimostrato amicizia, che per me è più importante di qualsiasi cosa perché, sarò un ingenuo, sarò un romantico, sarò fuori moda, sarò un comprimario,  (come qualcuno ha legittimamente scritto), ma io tengo ai rapporti umani e ai rapporti personali più di tutto.

 

Per stringere amicizia su Facebook basta un tasto, farlo nella vita è più difficile ma è anche più bello e nessuna intercettazione pubblicata e decontestualizzata può togliermi ciò che per me vale più di tutto: dare la propria vita, il proprio impegno, le proprie capacità al servizio della tua comunità. Tommaso Moro diceva, scrivendo alla figlia: “Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”. Lascio il governo a testa alta guardandovi negli occhi. Continuerò a farlo dai banchi del Parlamento.

 

Onorevoli colleghi, so che il tempo sarà galantuomo, spero sia altrettanto galantuomo in futuro chi oggi ha speculato sul nulla. Perché oggi il pregiudizio ha vinto sul giudizio.

Stop. Ogni discorso, come ogni esperienza deve finire con un punto, e io qui lo metto. Lasciatemi solo ringraziare i tanti colleghi, della maggioranza e dell’opposizione, che in questi giorni mi hanno chiesto di andare avanti, e le tante persone che mi hanno inviato messaggi di sostegno e di amicizia. Lasciatemi ringraziare il presidente del Consiglio che in questi giorni in un confronto franco, leale e realistico non mi ha mai chiesto le dimissioni (a dispetto di fantasiosi retroscena di cui spesso viviamo in questo palazzo) ma ha sempre lasciato a me la decisione.

 

Il valore vero di ogni rapporto umano è la gratitudine. Io ringrazio i colleghi ministri, i colleghi parlamentari, gli amici, le persone che mi hanno sostenuto, tutti voi che mi avete  permesso di fare questa entusiasmante esperienza.

 

Grazie.

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