Maurizio Lupi

 IL PARADOSSO DI PARIGI: ANCHE LORO VOGLIONO LA VITA – INTERVISTA A UNO DEGLI OSTAGGI DEL BATACLAN
Novembre 20, 2015

IL PARADOSSO DI PARIGI: ANCHE LORO VOGLIONO LA VITA – INTERVISTA A UNO DEGLI OSTAGGI DEL BATACLAN

Suggerisco a tutti la lettura di questa intervista di RTL a uno degli ostaggi del teatro Bataclan scampato al massacro di venerdì 13 novembre. L’intervistato si chiama Sébastien e racconta il dialogo con gli attentatori, l’intermediazione con la polizia, l’istante in cui la speranza di salvarsi è tornata, la percezione di essere nato una seconda volta e che ora tutto ciò che ha dalla vita gli sembra un dono. Dalle sue parole emerge, infine, un paradosso: quei terroristi in fondo non volevano morire, “hanno capito troppo tardi che la vita è importante”.
Sébastien ci aiuta a riflettere sulle implicazioni profonde di quello che è successo a Parigi. Certo sulla reazione di vigilanza, di sicurezza e di offensiva che dobbiamo avere, ma è un’offensiva che implica la risposta alla domanda: che senso ha vivere? Che cosa trasmettiamo ai nostri figli, nelle nostre scuole, come ideale per cui la vita valga la pena di essere vissuta?
Ecco alcuni stralci della traduzione, il testo integrale dell’intervista in francese lo trovate su Rtl.fr: http://www.rtl.fr/actu/societe-faits-divers/attentats-a-paris-retenu-en-otage-au-bataclan-il-revele-la-discussion-avec-les-terroristes-7780536329
Intervistatore – Eravate dentro il Bataclan e avete discusso a lungo con gli attentatori, è vero?
Sébastien – Sì, prima hanno discusso tra di loro, poi ci hanno fatto il loro discorso sul perché erano li.
I -E cosa vi hanno detto?
S – Ci hanno spiegato che erano le bombe che erano state sganciate in Siria a spingerli ad essere lì, per mostrare, far vedere a noi occidentali ciò che quegli aerei facevano là (in Siria). Quindi ci hanno portato nella sala, dove c’erano i feriti ancora agonizzanti, e ci hanno spiegato che non era che l’inizio. E che la guerra cominciava in quel momento e che erano lì a nome dello stato islamico. Poi ci hanno chiesto se eravamo d’accordo con loro, e vi lascio immaginare il silenzio che c’è stato in quel momento. Poi i più timidi hanno annuito con la testa e i più temerari hanno risposto a voce alta di sì. Poi ci hanno chiesto se avevamo un accendino, e quando ci hanno riportato nel corridoio dove ci hanno tenuto in ostaggio, ci chiedevano spesso di fare il palo o di gridare ai poliziotti dalla finestra di non avvicinarsi perché se no avrebbero fatto esplodere la loro cintura esplosiva, che non avevano paura.
I – Ma perché vi hanno chiesto un accendino?
S – Mi hanno dato in mano delle banconote e volevano sapere se per me i soldi avevano importanza. Ho chiaramente risposto di no, e volevano che io bruciassi quelle banconote. Mi sono sentito come Gainsbourg in quel momento, l’unica differenza era che io ero obbligato a farlo e che non era un atto volontario da parte mia. Quindi, ecco, c’è stato una sorta di scambio, di dialogo, e gli altri ostaggi alla fine mi hanno ringraziato per questo. Non voglio farmi passare per un eroe, i veri eroi sono morti quella sera, quelli che hanno protetto gli altri. Ma comunque c’era uno scambio di parole.
I – Con il distacco che può avere adesso, davanti a questo dialogo avuto con i terroristi, che cosa ne pensate? Cosa trattenete? Cosa suscita in voi 72 ore dopo?
S – Tre giorni dopo ci penso ancora, quella conversazione era marcata dal solco dell’urgenza, nel senso che ogni parola mal detta o mal interpretata può diventare una provocazione. E in quel momento lo accetti, quando vedi che si arrabbiano perché gli rispondi, quando vedi che non hanno senso dell’umorismo…
I – Se ti chiedessi cosa volevano veramente?
S – Ecco, questa è la vera domanda, è la domanda che ci facciamo ancora, noi, gli ostaggi che siamo stati testimoni dei loro dialoghi con i negoziatori. La sola vera richiesta che hanno formulato attraverso le 4 o 5 chiamate che hanno ricevuto, era semplicemente che i poliziotti si allontanassero, o che comunque non si avvicinassero. Quindi ne abbiamo concluso che in qualche modo avrebbero voluto salvarsi la vita, eppure a noi sembrava così poco probabile dopo la strage che avevano fatto che pensassero di poter avere salva la vita. Volevano anche parlare con dei giornalisti. Hanno avuto un negoziatore che li ha tenuti in contatto, e tutto quello che continuavano a chiedere era solo che i poliziotti si allontanassero.
I – Ed eravate voi ostaggi a fare da intermediari in tutta questa negoziazione?
S – Sì.
I – E quanto è durato?
S – Un’ora. Facevamo il palo alla finestra, ci chiedevano di dirgli dov’erano i poliziotti e di gridargli di allontanarsi. Effettivamente sì, eravamo noi gli intermediari. E anche più che semplici intermediari… c’erano alcune persone che sono state usate come scudi umani, messi davanti alle porte fino all’assalto, messi davanti alle porte, gridavano ai poliziotti di non avvicinarsi. E il raid è stato di una precisione salvatrice, perché il primo colpo che hanno sparato attraverso la porta è passata esattamente in mezzo alle due persone che facevano da palo. Poi hanno buttato giù la porta e la sparatoria è iniziata.
I – Sei riuscito a cancellare dalla mente l’immagine del kalashnikov puntato su di te?
S – Non è quella l’immagine che trattengo di più. Nel momento in cui (l’attentatore) ha iniziato a parlare, ho pensato che forse ero destinato a vivere, perché era molto facile ammazzarmi in quel momento, ero totalmente alla sua mercé, quindi questa immagine mi ha colpito e resterà scolpita come l’inizio della speranza, seppure così paradossale come può sembrare, perché fino ad allora ero scappato, volevo nascondermi, e a partire dal momento in cui mi hanno trovato non hanno voluto uccidermi, e questa è stata la mia possibilità.
I – Che cosa avete imparato da questa cosa così straordinaria che vi è capitata? Ricordiamoci che voi avete salvato la donna incinta che si era appesa alla finestra per scappare, che avete parlato con gli attentatori, che avete passato un’ora con un kalashnikov puntato in faccia… Cosa hai imparato Sébastien?
S – Che la vita è appesa a un filo, e che c’è bisogno di apprezzarla, e che non c’era niente di più serio che il fatto che eravamo ancora vivi.
I – E cosa avete imparato da loro, i terroristi?
S – Non molto… Se non che avevano bisogno di un ideale che il mondo occidentale in cui vivevano, dato che erano chiaramente francesi, si esprimevano in francese, il mondo in cui vivevano non gliene ne offriva uno, e hanno trovato un ideale mortifero, di vendetta e di odio e di terrore. E ad certo punto hanno voluto salvare la loro vita prendendoci in ostaggio, ed è stata la nostra salvezza, il fatto che ci tenessero alla loro vita. Ma hanno realizzato troppo tardi che la vita era importante. Ed io oggi posso rendermi conto che ogni istante che passo con i miei parenti, è un bonus, una benedizione. I semplici momenti di una vita fanno parte delle cose più belle che possiamo avere, e di questo non ce ne rendiamo conto se non quando ci capitano delle sorti di elettrochoc come quello che ho vissuto. Ho l’impressione di essere nato una seconda volta e voglio fare in modo di gustare questa nuova vita che mi è stata offerta.

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